TRA

prep. [lat. intra] (radd. sint.).

1. a. Indica fondamentalmente posizione intermedia tra persone, oggetti, o tra limiti di luogo e anche di tempo

Vivo tra due Paesi, l'Italia e la Svizzera. Le immagini che seguono sono il risultato dei miei continui viaggi.

"Tra" per molti è il luogo che separa due destinazioni, per me rappresenta il luogo in cui vivo.

di Giovanna Gammarota

La capacità di percepire lo spazio non è cosa comune a tutti. In qualsiasi momento si può passare da un luogo a un altro senza nemmeno rendersene conto. In alcuni casi accade invece che a poco a poco si metta a fuoco qualcosa, un particolare all’apparenza insignificante ma che per chi lo osserva assume improvvisamente un senso preciso. È il primo tassello di un puzzle personale che comincia a identificare una realtà basata su situazioni ripetitive ma sempre diverse, per esempio il tragitto che si compie, sempre uguale, da una città a un’altra come nel caso di Andrea Angelino Catella, autore di queste immagini.

Dapprima tutto appare automatizzato, la rassicurante abitudine anestetizza il percorso. Col trascorrere del tempo, quando gli automatismi ci rendono assuefatti e si pensa di conoscere bene il tragitto i cui particolari credevamo di aver registrato consapevolmente, si cominciano a individuare dei segni che identificano uno spazio diverso e che introducono quell’ identità che non si è mai percepita prima. Man mano che l’osservazione si acutizza molti più elementi affiorano e tutto ciò che ci sembrava invisibile prende lentamente la forma di un altro luogo, parallelo. Accade quindi che uno spazio fino a un attimo prima anonimo diventi familiare ma non perché ci si passa spesso o perché si riconoscono dei particolari – questo appartiene alla sfera dell’abitudine, del ‘visibile’ – bensì perché lo identifichiamo con noi stessi, diventa personale mostrando ciò che appartiene alla sfera dell’invisibile, ciò che è in un dentro più profondo. È accaduto così che durante i suoi abituali spostamenti tra un Paese e un altro, lo sguardo dell’autore a un certo punto ha registrato delle “deviazioni” nel guardare che gli hanno imposto una riflessione e da cui è scaturita l’urgenza di fotografare.

La definizione più comune di ‘tra’ – preposizione che deriva dal latino intra (dentro) – indica una posizione intermedia tra persone, oggetti, luoghi o limiti temporali uno spazio che sta in mezzo ad altri due. Ma non è così semplice. In questo particolare frangente prenderemo in esame lo spazio come entità attraversabile. Tanto per cominciare si verifica un contrasto tra il “transitare” nello spazio e l’esistenza fisica dello spazio stesso che teoricamente è fermo. Lo spazio esiste concretamente nel momento in cui si instaura con esso una relazione, come quella dell’attraversamento. Dunque si è ‘dentro’ e al tempo stesso ‘oltre’ quello spazio. Ma l’essere dentro non è una condizione fisica propria dell’attraversare, è in virtù della riconoscibilità specifica degli elementi che osserviamo nel transitare che diventiamo ‘parte’ integrante di quello spazio, apparteniamo ad esso ed esso appartiene a noi, lo abitiamo. L’autore afferma che le immagini di questo lavoro sono la restituzione di questi suoi viaggi abituali e che se per molti Tra può essere un segmento che separa due destinazioni (o che le mette in comunicazione), per lui rappresenta il luogo dove vive. Come si può arrivare a una dichiarazione così forte parlando di uno spazio che di fatto è zona di passaggio? Diventa possibile poiché assume il significato della liberazione dall’ambiguo sentire comune – è solo un percorso obbligato per andare da A verso B – per trasformarsi in spazio dell’immaginario. Le immagini di Andrea Angelino Catella fanno riferimento a quell’attimo in cui consapevolmente egli percepisce di essere “unico” in quel momento, in quello spazio. Insisto su questo elemento di unicità perché voglio mettere in discussione la banalità del vedere associata al visibile per porre l’accento sul guardare che viaggia a stretto contatto con l’invisibile. Normalmente si pensa all’invisibile come a qualcosa di misterioso, la cultura popolare ci ha abituati (ancora questa parola) a etichettare in tal modo quella particolare sensazione di presenza che non può ancora essere dichiarata perché ‘non si vede’. L’invisibile è altresì indicato, a volte, come ‘disturbante’ dal momento che non è quasi mai spiegabile a parole: è immaginale e pertanto appare inventato, in altri termini non vero. Sulla verità in fotografia andrebbe fatto un discorso molto approfondito ma non è questa la sede né il momento.

Tornerei invece al concetto di tra espresso dall’autore che con questo lavoro cerca di rendere visibile, a se stesso prima di tutto, il luogo in cui dichiara di vivere. Ci si potrebbe fermare a una prima interpretazione, abbastanza superficiale ma che comunque esiste, quella secondo cui “qui vivo” significherebbe questo è il posto in cui trascorro molto tempo e dunque la mia esistenza si svolge qui. In realtà le cose sono molto più complesse. Quel “qui vivo”, assume il significato del riconoscersi in un luogo del profondo che emerge soltanto grazie alla continua ripetizione di un accadere, sempre uguale. È come puntare l’obiettivo ogni giorno, nello stesso momento, verso un punto. Le cose attorno accadono ma il senso di ciò che si svolge si affina sempre di più sino a rivelare la verità. Alcuni di voi forse ricorderanno quel film di Wayne Wang Smoke (1995) tratto da un racconto di Paul Auster, in cui Auggie Wren (Harvey Keitel) proprietario di una tabaccheria di Brookyn tutte le mattine alle otto posiziona la propria macchina fotografica su un cavalletto all’angolo della strada. L’obiettivo, sempre rivolto verso l’incrocio, registra ciò che accade in quello scatto quotidiano. Auggie non osserva il punto, non attende che qualcosa accada per poterla fotografare, semplicemente scatta. Raccolte le immagini in diversi album una sera le mostra all’amico scrittore Paul Benjamin (William Hurt) che ha da poco perso sua moglie. Sulle prime Paul fa passare le decine e decine di immagini senza ‘guardare’ chiedendosi cos’hanno di particolare dal momento che sono tutte uguali. Auggie insiste dicendogli di guardare con più attenzione, più lentamente. Paul è scettico e continua sfogliare gli album fino a quando non incappa in una immagine, apparentemente casuale, che ritrae sua moglie mentre passa davanti all’obiettivo. La meraviglia è tanta da farlo piangere di incredulità. In quel preciso momento Paul ‘vede’ nello spazio tra l’obiettivo di Auggie e l’incrocio qualcuno che non c’è più, un accadere che gli appartiene. È di questa emersione che parlano le fotografie di Andrea Angelino Catella, l’emersione dal profondo del Sé, ed è questo il senso del suo vivere Tra

Vivere nell’Invisibile